Friday 22 October 2010

Ian Curtis

a 30 anni  dalla sua morte ancora continua ad esistere nei ritmi immobili e nelle parole senza futuro dei Joy Division l’immagine di Ian Curtis.
Una vita breve e mal vissuta a cui però nessuno osa rinnegare quel modo unico di fare musica.
Ian sale per pochissimo tempo sul carro del successo e vi scende proprio nel momento in cui iniziava ad essere interesse indiscusso del “music biz”.
Ad un passo dalla consacrazione mondiale (2 giorni prima del tour americano) questo giovane “vibrante”, consapevole solo della forza dolorosa dei sentimenti, decise di appendere il suo corpo alla rastrelliera della cucina così da non doverlo più assecondare in quelle danze troppo spesso subite e poche volte soltanto scelte per impressionare il pubblico.
Divo inconsapevole, ricco di quei cliché perfetti che aleggiano attorno alle icone maledette del rock, Ian ha incarnato ad arte i suoi eroi musicali (David Bowie, Iggy Pop, Johnny Rotten).
Il virus latente della depressione, accompagnato da un epilessia fotosensibile mal curata, ha presto innescato l’irreversibile molla della follia suicida.
Un dandy dallo sguardo di pari vulnerabilità ed ostilità, dal volto in sommossa con sé stesso incorniciato nel bavero  dell’inseparabile trench che ha fatto tendenza, un immagine essenziale si scontra con una coscienza tormentata che non ha trovato pace neppure a ritmo del suo “dance dance dance”.
Ascoltando i J.D. i pronostici su quello che è stato l’epilogo del loro eclettico Paroliere sembrano quasi scontati. La sofferenza e il mal di vivere che trasuda dai suoi testi e dai quei ritmi ossessivi che spirano tra ritorni al passato e ansie verso un futuro che non si ha voglia di vivere, non lasciano spazio a lampi di luce.
Una musica che spezza il fiato con tocchi lenti e ripetuti fino alla follia, in cui suoni di catene scivolano lenti in un’agonia tra quattro mura che sono sempre le stesse. Versi inneggianti alla dissoluzione come un capitolare necessario sono stati il sommo stendardo di una generazione di esteti decadenti.
Una musica, una filosofia di vita che ha fatto scuola ed invaso la successiva scena della dark music,
Un post-punk anomalo dai toni composti, distante dal pubblico che rimaneva ad assistere ad uno spettacolo con un atteggiamento di ipnotica devozione.
La rovente scossa dei punkeggianti ultimi anni ‘70 si è placata dinanzi all’improvvisa emotività di Ian la quale ha scosso e al tempo stesso assecondato le coscienze a ritmo di depressione.
Ma l’incapacità di reggere "una crisi che sapevo doveva arrivare demolendo l'equilibrio che avevo mantenuto" (come aveva scritto nei versi di "Passover") ha lasciato che quell’amore mai compreso, quell’amore intangibile, quell’amore visto solo attraverso un vetrino oscuro lo facesse a pezzi proprio secondo la sua celebre profezia: ”Love will tear us apart”
 
 

No comments:

Post a Comment